Analisi de IL NOME DELLA ROSA di Umberto Eco

AUTORE

Umberto Eco (Alessandria, 1932 - )

DATA PRIMA EDIZIONE

1982

SINTESI DEL ROMANZO DIVISO PER CAPITOLI

Nell’introduzione l’autore afferma di aver ricevuto e tradotto la versione francese, del 1842, di un manoscritto del 14° secolo, opera di un monaco benedettino, don Adso da Melk, che, vecchio, ricorda importanti vicende della sua vita di novizio. E tuttavia, come il manoscritto, anche la versione francese, accidentalmente sottratta, scompare nel nulla e solo le casuali testimonianze confermano l’esistenza di ciò che è stato letto e trascritto.

PROLOGO

Nel prologo, Adso, il narratore, si presenta, dà informazioni storiche sui primi anni del 1300, e infine descrive la figura di Guglielmo da Baskerville, un dotto francescano inglese a cui Adso era stato affidato perchè non oziasse in Italia e di cui era sia discepolo che scrivano. Guglielmo in quel periodo era impegnato in una difficile missione, di cui Adso viene interamente a conoscenza solo all’abbazia.

PRIMO GIORNO

Prima

Una mattina di fine novembre giungono all’abazia Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk, a quel tempo novizio. Guglielmo dà subito prova del suo straordinario acume, aiutando alcuni monaci e famigli a ritrovare il cavallo che era scappato dall’abbazia: egli, non solo riesce a descrivere perfettamente un cavallo mai visto prima per mezzo delle impronte che aveva lasciato sulla neve e da altri particolari apparentemente insignificanti, ma indica anche la direzione verso cui si sarebbe diretto. Dopo aver incontrato l’Abate e avergli consegnato una lettera dell’Imperatore nella quale vengono spiegati i motivi della visita, Guglielmo e Adso vengono accompagnati dal cellario nei loro alloggiamenti. Segue una descrizione del complesso abbaziale.

Terza

Dopo essersi rifocillati con il cibo che avevano portato dei monaci, ha luogo la prima conversazione di Guglielmo con l’Abate, e Adso, di nascosto, ma non con malizia, ascolta. Così l’Abate lo mette al corrente dei recenti avvenimenti misteriosi su cui vuole che Guglielmo faccia luce: infatti era morto pochi giorni prima Adelmo da Otranto, un monaco ancor giovane ma già famoso come grande miniatore. Il corpo di questo era stato trovato da un capraio in fondo alla scarpata dominata dal torrione est dell’Edificio. Ancora una volta Guglielmo sfoggia la sua dote migliore, intuendo che non si era suicidato poiché, la mattina dopo, le finestre dell’Edificio erano state trovate chiuse. L’Abate puntualizza subito che nessuno dei famigli avrebbe potuto entrare nell’Edificio dopo cena perché i monaci, per farsi rispettare, li minacciavano e quelli avevano paura. Inoltre si scopre che l’Abate sa qualcosa ma non può dirlo perché lo ha appreso sotto il sigillo della confessione. Quindi dà a Guglielmo pieni poteri per aggirarsi per l’abbazia e fare domande ai monaci, ad eccezione della biblioteca perché contiene anche dei libri eretici.

Sesta

Conclusa la discussione, Guglielmo vuole rivedere il suo amico Ubertino da Casale e si reca con Adso in chiesa, dove Ubertino trascorre gran parte del suo tempo. Segue una descrizione accurata della chiesa e, in particolare, del portale. Dopo aver fatto la conoscenza di Salvatore, un monaco che parla una strana lingua che è un insieme di più lingue, i due trovano Ubertino ai piedi di una Vergine in pietra e i due vecchi amici si salutano commossi. Ubertino è uno degli spirituali, dichiarati eretici dalla Chiesa perché la desideravano più vicina agli ideali di povertà evangelica. La curia per questo motivo aveva tentato di ucciderlo più volte, e infine lui si era dovuto rifugiare nell’abbazia. Poi i due discutono sul fatto che Guglielmo non lo aveva aiutato a condannare tre uomini, a suo avviso, eretici, mentre secondo Guglielmo non lo erano, e risale proprio ad allora la sua decisione di abbandonare la carica di inquisitore. Inoltre parlano anche dell’incontro che si sarebbe svolto qualche giorno dopo.

Verso nona

Uscendo dalla chiesa, incontrano Severino da Sant’Ermanno, il padre erborista, che si offre di far visitare l’abbazia ai due ospiti, quando lo avessero voluto. Guglielmo si interessa un po’ di erboristeria, così il monaco si dice lieto di avere qualche conversazione con lui sulle erbe. Poi gli chiede se avesse mai parlato con Adelmo da Otranto e lui risponde che non ci parlava molto, ma che parlava molto di più con Venanzio, Jorge e, in particolare, con Berengario. Poi si fanno guidare da Severino nell’Edificio: prima visitano la cucina, che si trova al primo piano, poi escono e vedono gli stabbi, le stalle, i pollai e il recinto delle pecore, quindi rientrano nell’Edificio e passano per il refettorio, andando verso il torrione orientale che conduce allo scriptorium.

Dopo nona

Arrivati allo scriptorium fanno la conoscenza del bibliotecario Malachia da Hildesheim e dei monaci che stanno lavorando. Poi Guglielmo chiede a Malachia di esaminare alcuni libri e questo gli fa vedere un elenco, dicendogli che avrebbe dovuto prima dirgli l’opera che cercava e poi lui gliel’avrebbe data se la richiesta fosse stata giusta e pia. Inoltre gli chiede di vedere i codici che Adelmo miniava e, sia lui che Adso, ne rimangono molto colpiti per la stranezza delle immagini, che fa anche sorridere. In quel momento parla Jorge da Burgos, un monaco ceco e molto vecchio, ammonendoli perché ridono e criticando le immagini di un mondo capovolto. Allora interviene Venanzio difendendo il monaco defunto e il suo lavoro, citando una dotta conversazione che si era tenuta qualche giorno prima con Adelmo, ma Jorge dice di non ricordarla. Infine il vecchio monaco grida l’avvento dell’Anticristo.

Vespri

Verso le 4 e mezza (il vespro) i monaci, tranne il bibliotecario e il suo aiutante che devono riordinare le cose, sospendono il loro lavoro e si avviano verso il coro. Ma Guglielmo e Adso visitano il resto dell’abbazia: gli stabbi e i porcai, le stalle, i dormitori, le latrine e le fucine. In quest’ultimo luogo conoscono Nicola da Morimondo, maestro vetraio, al quale Guglielmo mostra i suoi occhiali da vista e il monaco vi mostra un grande interesse, tanto che gli chiede di prestarglieli un giorno per esaminarli più a fondo e produrne di simili. Ma Guglielmo lo avverte di stare attento a non divulgare troppo la notizia dell’esistenza di quelle lenti perché spesso le novità sono ritenute dal popolo opere del demonio e perché potrebbero cadere nelle mani sbagliate di uomini avidi di potere. Infine il vetraio dice che di notte la biblioteca è sempre illuminata. A questo punto Guglielmo inizia ad avere una versione dei fatti, e cioè, secondo lui, Adelmo si sarebbe buttato dal parapetto del muro, che in un punto è più basso, per ragioni ancora sconosciute.

Compieta

Guglielmo e Adso entrano nel refettorio per desinare e si siedono al tavolo dell’Abate, dove ci sono anche il cellario, Jorge e Alinardo da Grottaferrata, il monaco più vecchio di tutta l’abbazia. Durante la cena un monaco tiene la consueta lettura, e ad un certo punto, quando dice che noi dobbiamo condannare le volgarità, le scempiaggini e le buffonerie, Jorge ricorda ad alta voce la discussione che si era tenuta quel giorno nello scriptorium facendo valere la sua ragione, ma Guglielmo gli ricorda che anche San Lorenzo aveva riso. Finito di mangiare, l’Abate presenta Guglielmo a tutti i monaci lodando le sue qualità di uomo saggio e dicendo che avrebbe indagato sulla morte di Adelmo. Poi vanno tutti nel coro per l’ufficio di compieta e si scopre che c’è un’altra porta per entrare nell’Edificio, che usa il bibliotecario per uscire dopo aver chiuso le porte dall’interno. Infine Guglielmo e Adso vanno a dormire nella loro cella.

SECONDO GIORNO

Mattutino

Tutti i monaci verso le due e mezza vanno in chiesa per l’ufficio del mattutino; dopodiché rimangono in piedi fino alle laudi. All’improvviso, mentre i monaci cantano le parole del Vangelo, alcuni servi entrano in chiesa gridando che era morto un uomo. Allora tutti quanti vanno fuori a vedere, e vedono un uomo a testa in giù nell’orcio che il giorno prima i porcai avevano riempito con il sangue di maiale: è Venanzio. Accertatosi che Berengario era presente in coro, ma che questo non voleva dire nulla perché Venanzio era sicuramente morto prima, dato che nessuno passa dagli stabbi se non i servi che si alzano all’alba, Guglielmo fa portare il cadavere nei balnea per vedere se ci siano delle contusioni sul corpo. Inoltre fa allontanare tutti dalla scena del delitto per trovare qualche traccia sulla neve e Adso trova delle impronte meno recenti che vanno dalla giara alla porta del refettorio e vicino ad esse una traccia continua, come se quello a cui appartengono le suddette orme avesse trasportato qualcosa. Ritorna Severino dai balnea informando Guglielmo che non ci sono contusioni sul cadavere, quindi il maestro di Adso chiede se ci siano dei veleni nel suo laboratorio e quello risponde che ogni medicina, se presa in dose eccessiva, può provocare la morte. Guglielmo gli chiede se è stato rubato qualcosa di recente e Severino risponde di no e che non si ricorda se è successo in passato. Infine Guglielmo gli chiede di parlargli delle piante che producono visioni, ma l’erborista cerca di spostare il discorso su Venanzio.

Prima

Appena finito l’ufficio di prima, Guglielmo interroga prima Bencio da Upsala, uno studioso di retorica, e dopo Berengario, l’aiuto bibliotecario. Da Bencio apprende che Venanzio e Adelmo, cioè i due monaci morti, avevano parlato con Berengario due giorni prima la morte di Adelmo; infine Bencio consiglia a Guglielmo di guardare nella biblioteca. Con Berengario Guglielmo insinua che è stato l’ultimo a vedere Adelmo vivo e, dopo averlo un po’ torturato a parole, il monaco confessa che la notte che era morto lui aveva visto il fantasma di Adelmo nel cimitero e gli aveva detto che le pene dell’inferno sono molte peggiori di quanto si creda. Poi Berengario chiede a Guglielmo di confessarlo, ma quello non vuole perché tutti devono sapere quello che è successo, non solo il confessore. Quando poi il monaco si allontana, Guglielmo dice le sue supposizioni ad Adso, confermando la sua precedente ipotesi del suicidio.

Terza

Prima di salire allo scriptorium vanno in cucina a fare colazione e qui assistono a uno scambio di battute poco educate tra il cuciniere e Salvatore, perché quest’ultimo dava gli avanzi della sera prima ai caprai. Poi viene Aymaro da Alessandria, che esprime il suo disprezzo per l’atteggiamento conservatorio che tiene l’Abate nella direzione dell’abbazia, mentre nelle città la gente commercia e si arricchisce, e vorrebbe che anche loro si tenessero al passo coi tempi fabbricando libri per le università. Poi i due salgono allo scriptorium. Qui vedono un libro che stava traducendo Venanzio, contenente favole pagane, e Berengario spiega loro che era stato commissionato dal signore di Milano ma che ne sarebbe stata fatta anche una copia per l’abbazia. Allora interviene Jorge ricordando che nell’abbazia si tengono opere buone e cattive e così riprende il dibattito sul riso tra il vecchio monaco e Guglielmo. Alla fine quest’ultimo si scusa ammettendo che forse ha torto. Subito dopo Bencio gli chiede di parlargli e gli dà appuntamento dietro ai balnea. Prima si avviano Adso e Guglielmo, poi arriva anche Bencio.

Sesta

Bencio racconta che Berengario è un omosessuale e che, per svelare un segreto ad Adelmo, in cambio avrebbero dovuto passare una notte insieme. Così fecero, ma poi, preso dai sensi di colpa, Adelmo si era confessato con Jorge e poi era andato in chiesa. Berengario lo aveva seguito ma non era entrato nella chiesa; a quel punto Bencio scopre che anche Venanzio spiava i due e lo vede entrare in coro. Poi Bencio era tornato ai dormitori per paura di essere scoperto. Dopo che Bencio se n’è andato, Adso chiede al suo maestro cosa pensa della sua confessione e questo gli riassume i fatti: dopo aver compiuto l’atto malvagio, Adelmo si confessa da Jorge, ma questo forse gli dà un’impossibile penitenza o comunque lo spaventa e così il giovane monaco va in chiesa a pregare; poi parla con Venanzio, forse gli confessa il segreto appreso da Berengario e, dopo aver spaventato Berengario con le parole udite da Jorge, va a suicidarsi. Venanzio, intanto, continua la ricerca per conto proprio finché non viene fermato da qualcuno che lo uccide. Questo qualcuno può essere chiunque. Infine Guglielmo si ripromette di entrare nella biblioteca quella sera stessa.

Nona

Guglielmo e Adso vanno in chiesa per una riunione con l’Abate, e questo loda le ricchezze della sua abbazia, ritenendo che per glorificare il Signore servano anche quelle. Poi l’Abate e Guglielmo parlano delle diatribe tra l’imperatore, i francescani, i benedettini e, dall’altra parte, il papa. Discutono se si possano mettere alla stessa stregua i minoriti del capitolo di Perugia e qualche banda di eretici come gli pseudo apostoli di fra Dolcino, Guglielmo sostenendo di no, al contrario dell’Abate. Alla fine i due, pur essendo di vedute diverse, si dicono pronti a collaborare per il successo dell’incontro e per la scoperta di un assassino. Terminato il colloquio, Guglielmo manda Adso a dormire.

Dopo vespri

Risvegliatosi, Adso trova Guglielmo mentre esce dall’Edificio e gli racconta che era appena stato nello scriptorium e che tutti i monaci facevano di tutto per non permettergli di guardare le carte di Venanzio. Prima di entrare nel refettorio passeggiano nel chiostro e lì incontrano Alinardo da Grottaferrata, che racconta loro come entrare nell’Edificio di notte. Infatti c’è un passaggio segreto (anche se molti monaci ne erano a conoscenza da tempo) che corrisponde all’ossario e che dalla chiesa porta fino alla cucina. Vi si accede spingendo gli occhi di un teschio che sta alla base dell’altare della terza cappella nella chiesa.

Compieta

Dopo cena, come ogni sera, tutti i monaci vanno in chiesa per l’ufficio di compieta, ma, terminato, Guglielmo e Adso non vanno nella propria cella come gli altri. Riescono ad aprire il passaggio per l’ossario e raggiungono lo scriptorium. Ma qui è presente qualcuno nascosto che ruba un libro di Venanzio e gli occhiali di Guglielmo; poi quest’ombra fugge nel refettorio inseguito da Adso, ma lì non se ne hanno più tracce, si pensa che sia scappato attraverso uno dei tanti passaggi segreti dell’abbazia. Senza volerlo Adso sfiora con la fiamma del lume il retro di un foglio che c’era vicino al tavolo di Venanzio e si rendono visibili delle scritte in un alfabeto criptato che dovranno essere decifrate. Adso ricopia quei segni su una tavoletta, quindi si avviano verso la biblioteca.

Notte

La prima stanza della biblioteca è eptagonale e su quattro pareti si aprono altrettante stanze, tutte uguali, fatta eccezione per il numero di porte che hanno. Su ogni porta c’è un grande cartiglio con delle parole in latino tratte dal libro dell’Apocalisse che ogni tanto si ripetono. In ogni stanza c’è al centro un tavolo su cui ci sono dei libri; altri libri si trovano in enormi armadi, situati lungo le pareti chiuse. Ad un certo punto Guglielmo e Adso si perdono e trovano prima uno specchio deformante, poi un lume che procura visioni a chi respira l’odore che esso produce, e infine due feritoie da cui proviene l’aria esterna, che ricordano dei gemiti di fantasmi: tutti accorgimenti per allontanare i curiosi. Quando ormai hanno perso le speranze, trovano la sala da cui erano partiti e raggiungono così i dormitori. Ma all’entrata c’è l’Abate che li cercava da tempo per dir loro che Berengario non c’era a compieta e a mattutino è ancora introvabile.

TERZO GIORNO

Da laudi a prima

Tutti gli abitanti dell’abbazia cercano Berengario invano: vengono anche mandati dei servi a cercarlo ai piedi della scarpata, ma non è nemmeno lì. Viene trovato solo un panno bianco sporco di sangue sotto il pagliericcio nella cella di Berengario, che non presagisce nulla di buono. Intanto Guglielmo va a parlare con il maestro vetraio e Adso si addormenta in chiesa.

Terza

Svegliatosi, Adso va nello scriptorium e nota quanta calma e serenità ci sia nei volti dei monaci, nonostante gli avvenimenti di quei giorni. Riflette sul ruolo dei monaci scrivani, che in quei tempi vogliono soprattutto conoscere. Infine si reca in cucina per pranzare.

Sesta

In cucina parla con Salvatore, che gli racconta la sua vita. Partito dal suo villaggio natio nel Monferrato, errò per varie terre, la Liguria, la Provenza e le terre del re di Francia. Prima era stato uno dei tanti vagabondi disonesti che si aggiravano in tutta Europa, ma poi si era aggregato a un convento di minoriti in Toscana e aveva indossato il saio di San Francesco senza prendere gli ordini; infine arrivò a Casale nel convento dei minoriti, dove conobbe il cellario che lo prese come suo aiutante e lo portò con sé all’abbazia. Alla domanda di Adso se abbia mai conosciuto fra Dolcino, Salvatore cambia atteggiamento nei confronti del novizio e se ne va con un pretesto. Così Adso decide di andare a cercare Ubertino per saperne di più su quell’uomo che incute tanto terrore, ma non lo trova se non la sera.

Nona

Adso va da Guglielmo, che intanto sta istruendo Nicola su come fare gli occhiali, e gli racconta quello che gli ha detto Salvatore. Poi chiede al suo maestro spiegazioni sulle differenze tra i vari gruppi ereticali, che erano per lo più composti dai semplici e dagli emarginati. Poi Guglielmo viene chiamato dall’Abate e, mentre si incamminano verso il giardino, dice ad Adso di aver decifrato l’alfabeto di Venanzio e che la frase ricopiata da lui significa “La mano sopra l’idolo opera sul primo e sul settimo dei quattro”: ma finora non ha nessun senso.

Vespri

L’Abate comunica a Guglielmo di aver ricevuto una lettera dall’abate di Conques in cui lo informa che Bernardo Guidoni, membro della legazione, sarebbe anche stato al comando dei soldati francesi inviati all’abbazia per difendere i legati del papa da possibili tranelli. Inoltre si dichiara assai dispiaciuto se, non avendo ancora Guglielmo trovato l’assassino, dovesse esser costretto a concedere a Bernardo di porre l’abbazia sotto sua sorveglianza. In quel mentre arriva Nicola, assai umiliato, che dice di aver rotto le lenti e che avrebbe continuato l’indomani perché il sole era ormai calato. Berengario non è ancora stato trovato. Mentre passeggiano nel chiostro a Guglielmo viene in mente un modo per orientarsi nella biblioteca, cioè con la bussola, ma poi abbandona quell’idea perché è incerto sul reale funzionamento della macchina. Allora pensa a descrivere la biblioteca dall’esterno e conta due finestre sui lati e cinque su ogni torrione. Siccome ogni stanza (a parte qualcuna) ha una finestra, per quanto riguarda le stanze che danno sull’esterno, ce ne sono cinque in ogni torrione, più quella centrale eptagonale, e ogni muro esterno ha due stanze; riguardo a quelle che guardano sul pozzo interno, di forma ottagonale, ce ne sono due per ogni lato dell’ottagono e altre otto, senza finestra, che collegano ogni sala eptagonale con le stanze interne. Poi Guglielmo scopre che ogni stanza è contrassegnata da una lettera dell’alfabeto (l’iniziale di ogni versetto scritto sulle porte) e tutte insieme, a partire dalle scritte in rosso, compongono qualche testo misterioso. Infine, per ordine di Guglielmo, Adso va a chiedere a Salvatore da mangiare perché è già passata l’ora di cena, e questo gli cucina il casio in pastelletto. Adso, poi, finge di andare a dormire, mentre va in chiesa a cercare Ubertino.

Dopo compieta

Finalmente Adso viene a conoscenza della storia di fra Dolcino, il quale aveva imitato un certo Gherardo Segalelli, che radunò un buon numero di seguaci e li invitava ad essere simili agli apostoli. Gherardo finì poi sul rogo come eretico impenitente. Dolcino cominciò a predicare a Trento e quando vi fu cacciato andò con mille seguaci su un monte nel novarese, dove si unirono a lui molte altre persone; iniziarono a saccheggiare i villaggi vicini, ma molti morirono di fame. Poi fu bandita una crociata contro gli eretici e Dolcino si rifugiò su un altro monte, ma alla fine furono bruciati tutti quanti. Poi Ubertino gli dice qualcosa sulle tentazioni del cellario e gli insegna ad amare solo la Madonna.

Terminato il colloquio, Adso si reca da solo nella biblioteca attraverso l’ossario. Su un tavolo nello scriptorium trova un libro su fra Dolcino e apprende quanto fu indolente mentre veniva torturato e poi bruciato. Questo gli ricorda un rogo a cui aveva assistito a Firenze qualche mese prima. L’imputato era Michele, un fraticello eretico che era visto dai semplici come un santo. Quindi si dirige verso la biblioteca, dove guarda le miniature di alcuni libri (un leone, un uomo che lo spaventa ancora più dell’animale e due donne) rimanendone turbato. Così corre giù verso il refettorio e va in cucina per bere un bicchiere d’acqua, ma qui trova due ombre sul pavimento, una delle quali fugge via. Adso si avvicina alla persona rimasta e si accorge che è una fanciulla, tremante e recante in mano un involto. Le dice di essere un amico, lei risponde in un volgare che lui non capisce, ma gli suona come un elogio alla sua giovinezza e bellezza. Così i due si denudano, lui così frastornato, lei così dolce e sensuale. Quindi si addormenta e, quando si risveglia, la fanciulla non c’è più e ne prova una gran tristezza. Vede l’involto che aveva la ragazza e vi trova dentro un cuore di grandi dimensioni: così sviene.

Notte

Quando si riprende, trova davanti a sé Guglielmo, il quale lo aveva cercato nella sua cella e, non trovandolo, aveva immaginato che fosse andato in biblioteca. Avvicinandosi all’Edificio, aveva visto un’ombra fuggire verso il muro di cinta e dopo aver cercato di seguirla inutilmente, era entrato in cucina e vi aveva trovato Adso svenuto. Così il ragazzo confessa al suo maestro il suo peccato e quello lo assolve, giustificando il suo gesto come qualcosa da non auspicare prima che avvenga ma neppure da vituperare troppo una volta avvenuto. Quindi Guglielmo si concentra sul fatto e cioè su chi sia la ragazza e con chi fosse. Suppone che l’uomo dovesse essere un monaco brutto e vecchio che in cambio di giacere con lei le desse da mangiare, che dovesse avere la possibilità di andare al villaggio e lo identifica nella figura del cellario o in quella di Salvatore. Infine si ripropone di interrogare i due e suggerisce ad Adso di pregare in chiesa. Qui vi trovano Alinardo che ricorda loro le sette trombe dell’Apocalisse, e che la terza accenna ai fiumi e alle fonti. Così, quasi per caso, ad Adso vengono in mente i balnea e lì vi trovano il corpo senza vita di Berengario, con il volto che presenta i segni dell’annegamento.

QUARTO GIORNO

Laudi

Il cadavere di Berengario viene disteso su un tavolo dell’ospedale e qui Guglielmo e Severino lo esaminano, notando che i polpastrelli di alcune dita della mano destra, e un po’ anche di quella sinistra, sono scuri, cosa che Severino aveva notato anche a Venanzio; inoltre scoprono che anche la lingua è nera. Ne concludono che forse i due avevano toccato e poi ingerito qualche veleno, e Severino ricorda che qualche anno prima era sparita un’ampolla contenente una sostanza molto potente. L’esistenza di questa sostanza era nota sicuramente all’Abate e a Malachia, forse anche a Berengario e ad altri che erano nello scriptorium.

Prima

Uscendo dall’ospedale, incontrano Malachia che entra e pare voler nascondere a Guglielmo e ad Adso il vero motivo della visita. Guglielmo decide di interrogare Salvatore e proprio in quel momento lo vedono e lo fermano. Guglielmo gli chiede della donna di quella notte e lui, intimorito, gli dice che per compiacere il cellario gli procura delle ragazze del villaggio, poi gli chiede se aveva conosciuto il cellario prima o dopo esser stato con Dolcino e quello ammette di essere stato dolciniano, di essere poi fuggito insieme a Remigio ed entrato nel convento di Casale, infine di essersi trasferiti tra i cluniacensi. Dopodiché interroga anche Remigio e, dopo vari giri di parole, il cellario confessa di essere stato dolciniano e di cedere alle lusinghe della carne. Inoltre rivela che, la notte in cui era stato ucciso Venanzio, un’ora dopo compieta, lo aveva trovato morto in cucina, con una tazza infranta e segni di acqua (ma non sa se fosse realmente acqua) per terra e, la mattina, era rimasto allibito scoprendolo nella giara. All’insinuazione di Guglielmo su Malachia, che avrebbe potere di muoversi liberamente per l’Edificio, Remigio reagisce in malo modo e poi confessa che anche Malachia è a conoscenza della sua storia. In quel mentre Severino gli porta le lenti trovate nel saio di Berengario, e Guglielmo ne deduce che era stato proprio lui ad aver rubato il libro di Venanzio, e poi Nicola gli porta un nuovo paio di occhiali. Così Guglielmo si ritira a decifrare il messaggio di Venanzio e Adso va in chiesa e ricomincia ad essere ossessionato dalla fanciulla.

Terza

Adso si è innamorato e, vedendo la ragazza in ogni cosa, ne è appagato, ma nello steso tempo soffre perché non c’è realmente. Di lì a poco incontra Guglielmo che ha terminato la traduzione del testo greco e intuisce che fossero degli appunti presi da Venanzio mentre leggeva il libro, ma quelle frasi sono alquanto sibilline e non ne traggono molto.

Sesta

Poi Guglielmo si mette a pensare e Adso va con Severino e alcuni porcai lungo le falde del monte a cercare i tartufi. Così ha la possibilità di avvistare per primo la legazione dei minoriti e di avvisare il suo maestro. Infatti il papa aveva invitato più volte Michele da Cesena, ministro generale dell’ordine dei frati minori, ad Avignone, ma molti glielo sconsigliavano, così si era stabilito un pre-incontro tra una legazione di francescani e una papale che sarebbe servito per decidere sui modi e sulle garanzie del viaggio ad Avignone e Guglielmo era stato incaricato dall’imperatore di sovrintendervi. A pranzo discutono su papa Giovanni XXII e su quanto sia malvagio ed astuto, e tutti mettono in guardia Michele.

Nona

Dopo un po’ arriva anche l’altra delegazione, con Bernardo Gui a capo degli arcieri e, da subito, acerrimo nemico di Guglielmo. Dopo i convenevoli, ognuno va per la sua strada, così Guglielmo va a leggere alcuni libri nello scriptorium, mentre Bernardo interroga i fratelli laici e i contadini.

Vespri

Attendendo l’ora di cenare, Guglielmo e Adso incontrano Alinardo, che parla loro per l’ennesima volta delle trombe dell’Apocalisse e accenna ai versetti di quel libro, poi dice che doveva diventare bibliotecario, ma che un altro lo era diventato al posto suo e si dichiara contento che sia «entrato nel regno delle tenebre». Quindi Guglielmo insegna ad Adso che per risolvere un mistero bisogna immaginarsi quante più ipotesi possibili per poi approdare ad una legge generale applicabile a tutti i casi. Adso rimane perplesso da questo tipo di procedimento e, quasi pentito, cova maggiori speranze di riuscita in Bernardo Gui.

Compieta

Dopo cena, Adso si introduce in cucina e vede Salvatore sgattaiolare fuori con un fagotto in braccio, così lo ferma e gli chiede spiegazioni, dicendogli che se non gliel’avesse detto ne avrebbe parlato a Guglielmo. Allora Salvatore gli spiega una strana magia per ammaliare una ragazza. Dopodiché Adso raggiunge Guglielmo per intraprendere un altro viaggio nella biblioteca.

Dopo compieta

Nella biblioteca svolgono un lungo e noioso lavoro, che è quello di annotare sulla tavola di Adso le pareti piene, le iniziali scritte su ogni porta, per poi arrivare a comprendere il meccanismo che regola l’ordine dei libri. Questi sono raggruppati in più aree, le quali sono contraddistinte da un nome che si ottiene componendo varie iniziali, a partire dalle lettere rosse: così c’è una zona chiamata Anglia, una chiamata Hibernia, una Roma, insomma le varie zone riflettono la cartina geografica del mondo; poi in ogni zona ci sono libri che provengono da quel determinato luogo o che vi avrebbero dovuto provenire secondo i costruttori della biblioteca, come in Roma ci sono i classici latini e in Hibernia ci sono le opere di grammatica di Irlandesi ma non solo. Infine notano che non c’è l’accesso alla stanza eptagonale del torrione meridionale, segno che è quello il luogo dei segreti, definito anche come finis Africae. Cercano in ogni modo di entrarvi attraverso un passaggio segreto, tastando nei pressi dello specchio (perché lo suggerisce il testo cifrato di Venanzio con la parola eidolon), ma inutilmente. Infine Adso ha anche modo di leggere un libro sulla malattia d’amore, in cui si parla dei sintomi, e Adso li riconosce tutti come suoi.

Notte

Mentre i due vanno nel refettorio, sentono dei rumori provenire da fuori, allora percorrono la solita strada dell’ossario e giungono sul luogo dell’accaduto. Qui trovano Salvatore e la ragazza che aveva giaciuto con Adso prigionieri degli arcieri. Questi ultimi trovano addosso al monaco un gatto nero e alla donna trovano un gallo anch’esso nero, così Bernardo ne deduce che pratichino la magia nera e che la ragazza sia una strega. Li fa imprigionare nelle celle sottostanti il laboratorio dei fabbri, ripromettendosi di interrogarli in seguito. Adso ha ben due volte l’impulso di andare a liberare la ragazza, ma Guglielmo lo trattiene. Ubertino nota il suo intenso sguardo verso la ragazza e lo mette in guardia dalla bellezza del corpo.

QUINTO GIORNO

Prima

Al risveglio, Adso e Guglielmo si recano nella sala capitolare dove avviene l’incontro tra le due delegazioni. C’è da dire che, prima di entrare, Adso vede Bernardo parlare con Malachia. Dalla parte dei francescani ci sono Michele da Cesena, Arnaldo d’Aquitania, Ugo da Novocastro, Guglielmo Alnwick, il vescovo di Caffa, Berengario Talloni, Bonagrazia da Bergamo e altri minoriti della corte avignonese; dalla parte papale, invece, partecipano Bernardo Gui, Lorenzo Decoalcone, il vescovo di Padova, Jean d’Anneaux, Giovanni Dalbena. Al centro, rispetto ai due schieramenti, si trovano l’Abate e il cardinale Bertrando. È l’Abate ad aprire la seduta riassumendo gli eventi religiosi accaduti fino ad allora, interrotto poi dal cardinale che lo corregge in alcuni punti. Segue una lunga discussione sulla reale povertà di Cristo, ma alla fine i monaci delle delegazioni, oltre che scontrarsi verbalmente, finiscono per farlo anche fisicamente, mentre l’Abate e il cardinale li invitano a calmarsi.

Terza

In quel putiferio Guglielmo e Adso escono nell’affollato nartece per parlare con Severino, il quale vorrebbe andare in un luogo più appartato, ma Guglielmo non può allontanarsi troppo perciò lo invita a parlare a bassa voce. Così gli dice di aver trovato tra i libri del laboratorio il libro che Berengario aveva sottratto dal tavolo di Venanzio e lo prega di andare con lui a vederlo. Ma Guglielmo in quel momento è atteso nella sala capitolare, e così dice a Severino di chiudersi dentro il laboratorio e attenderlo, mentre ordina ad Adso di seguire Jorge, che intanto aveva quasi sicuramente sentito la loro conversazione. Ma Adso, vedendo Jorge andare da un’altra parte e vedendo il cellario seguire furtivamente Severino, decide di pedinare il secondo, finché non arrivano davanti alla porta chiusa dell’ospedale. Allora, mentre il cellario si dirige verso la cucina, Adso ritorna nella sala capitolare e si scontra con Bencio che gli chiede se Severino abbia trovato qualcosa lasciato da Berengario, poi Adso riferisce a Guglielmo tutto quanto. Dunque riprende il dialogo tra le due parti e questa volta interviene Guglielmo ad esporre le tesi dei teologi imperiali, dicendo che il papa non ha alcun diritto ad intromettersi nelle cose secolari e che quindi non può mandare al rogo gli eretici, ma può solo segnalare la cosa all’imperatore, il quale provvederà a punirli se abbiano nociuto ad altre persone. Quando ha terminato il suo discorso, entra il capitano degli arcieri che sussurra qualcosa a Bernardo, poi questo dice a tutti che era capitato qualcosa di brutto. Guglielmo pensa subito a Severino.

Sesta

Il corpo di Severino, con la testa fracassata da una sfera armillare, si trova nell’ospedale in un lago di sangue. Gli arcieri, incaricati da Bernardo di arrestare il cellario per altri motivi, lo avevano trovato mentre rovistava tra i libri del laboratorio e lo sospettano di essere l’assassino. In giornata si sarebbe svolto un primo tribunale contro Remigio. Guglielmo e Adso continuano le indagini per conto loro: l’inglese nota che l’erborista indossava dei guanti; inoltre fa sgombrare la stanza e, insieme ad Adso, cercano il famoso libro di Venanzio, ma non lo trovano. Con loro c’è anche Bencio, che sostiene di non aver visto entrare Malachia, ma che fosse già dentro l’ospedale, nascosto dietro una tenda. Poi fa andare Bencio a controllare Malachia nello scriptorium. Poco dopo Guglielmo si rende conto che il libro che cercano era quello in arabo e si precipitano a prenderlo, ma non lo trovano più. Così tornano al capitolo a seguire l’istruttoria.

Nona

Bernardo accusa Remigio di due crimini, quello di eresia e quello di omicidio. A testimoniare contro di lui vengono chiamati Malachia e Salvatore, i quali sostengono l’accusa di eresia. Non sapendo più quale sia l’accusa peggiore, alla fine il cellario decide di difendersi da quella di omicidio e confessa di essere stato un dolciniano. Poi, per terrore della tortura, confessa anche di aver ucciso i tre monaci. Questo è proprio quello che Bernardo voleva per mettere in cattiva luce tutti i francescani, che secondo lui sono tutti eretici, e fa delle allusioni ad Ubertino. Infine annuncia che Remigio sarebbe stato portato ad Avignone per il processo definitivo.

Vespri

Così Guglielmo predispone la fuga del vecchio amico e cerca di convincere Michele a non andare ad Avignone, ma lui risponde che ci sarebbe andato perché voleva la piena accettazione dell’ideale di povertà da parte del papa. A cena Guglielmo parla a Bencio e questo gli dice di aver dato il libro a Malachia, il quale gli ha proposto in cambio la carica di aiuto bibliotecario.

Compieta

A compieta l’Abate fa parlare Jorge e questo fa un lungo discorso ai confratelli sul compito che ha l’abbazia, che è quello di custodia e non di ricerca, e sulla venuta dell’Anticristo. Infine tutti i monaci vanno a dormire.

SESTO GIORNO

Mattutino

La mattina, come al solito, tutti i monaci si dirigono in chiesa per l’ufficio di mattutino, ma questa volta Malachia non c’è. Tutti temono il peggio, ma dopo un po’ egli arriva. Però, poco dopo il suo arrivo, cade a terra, moribondo. Guglielmo fa appena in tempo ad udire le sue ultime parole sul potere di mille scorpioni che qualcosa, forse il libro, ha. Anche il bibliotecario ha le dita e la lingua nerastre.

Laudi

L’Abate nomina Nicola come nuovo cellario e ordina a Bencio di sorvegliare che i monaci continuino il loro lavoro nello scriptorium e che nessuno entri in biblioteca. Alla chiusura della biblioteca ci avrebbe pensato l’Abate. Intanto sembra che il gruppo degli italiani, composto da Aymaro, Alinardo, Pacifico e Pietro, stia tramando per deporre l’Abate.

Prima

Per parlare a Nicola, Guglielmo e Adso lo seguono nella cripta dove sono custodite le ricchezze dell’abbazia, e quello racconta loro delle successioni di abati e bibliotecari avvenute in passato e di come il bibliotecario divenga automaticamente abate, fatta eccezione per Abbone, in quanto era stato raccomandato. Prima di lui c’era stato Paolo da Rimini, mentre bibliotecario era Roberto da Bobbio, il quale aveva un’aiutante; dopo quest’ultimo divenne bibliotecario Malachia. Poi Nicola mostra ai visitatori le meravigliose reliquie custodite nella cripta, ma Guglielmo insinua che non tutte siano originali. Infine Guglielmo va nello scriptorium a leggere dei libri che aveva già preso.

Terza

Adso va in chiesa a pregare per l’anima di Malachia, ma si addormenta mentre si canta il “Dies irae” e ha una visione, o sogno che sia, in cui molti personaggi, tra cui alcuni della Bibbia e dell’abbazia, partecipano ad una pazza festa.

Dopo terza

Risvegliatosi, Adso trova Guglielmo che saluta i francescani, i quali stanno per partire. La delegazione papale, invece, era già andata via mezz’ora prima. Poi gli racconta il suo sogno e Guglielmo gli ricorda che la trama del sogno è la stessa della Coena Cypriani, che appartiene alla tradizione dei ioca monachorum, proibita dai maestri dei novizi. Dice che trova il sogno rivelatore per una sua ipotesi.

Sesta

Guardando il catalogo dei libri e notando la differente grafia nel corso degli anni (in quanto i libri sono ordinati per anno di arrivo all’abbazia), Guglielmo riesce a ricostruire gli avvicendamenti dei bibliotecari e intuisce che, dopo Paolo da Rimini ma prima di Roberto da Bobbio, è stato bibliotecario un’altra persona, la stessa che Alinardo odia perché gli aveva rubato l’incarico, ingraziandosi l’abate portando molti libri da Silos. Poi Bencio confessa di temere per la sua vita a causa del gruppo degli italiani, che non vogliono bibliotecari stranieri, ma Guglielmo lo rassicura e apprende da lui che la parte in greco del libro che cerca è fatta da fogli di pergamina de pano, un materiale che fanno in pochi posti.

Nona

Quindi Guglielmo e Adso vanno a parlare all’Abate, che li invita nella sua casa. Guglielmo gli espone le sue supposizioni su qualcuno che ucciderebbe per nascondere un libro nascosto nel finis Africae e gli chiede se conosce una persona che sa sulla biblioteca quanto, se non più, di lui. Ma Abbone, invece di rispondergli, lo congeda bruscamente dicendogli di partire la mattina successiva e che avrebbe risolto la faccenda per conto proprio. A quel punto Guglielmo esce non poco adirato e decide che quella notte avrebbe scoperto il mistero dell’abbazia, che l’Abate voleva celare per salvare l’onore di essa. In quel momento vedono diversi monaci affollarsi davanti alla residenza abbaziale e alcuni entrarvi, alchè capiscono che l’Abate ha preso in mano la situazione. Poi Guglielmo ordina ad Adso di sorvegliare le stalle perché, seguendo la pista dei versetti dell’Apocalisse, la sesta tromba ha a che fare con i cavalli, mentre il maestro va a riposarsi.

Tra vespro e compieta

A vespro, in chiesa, mancano Jorge e Alinardo, ma solo il primo non si trova, l’altro è infermo: per questo l’Abate è inquieto e molto nervoso. Dopo cena ordina a tutti con estrema severità di non aggirarsi per l’abbazia quella notte. Nonostante ciò Guglielmo e Adso entrano in chiesa.

Dopo compieta

I due aspettano per un’ora che l’Abate esca dall’ossario dopo aver chiuso le porte dell’Edificio, ma ciò non avviene, così vanno alle stalle e qui, per caso, Adso cita una frase di Salvatore (“tertius equi”) che fa illuminare Guglielmo. Allora lo fa andare a prendere i lumi e in chiesa gli spiega il significato della misteriosa frase di Venanzio («Secretum finis Africae manus supra idolum age primum et septimum de quatuor»), che si riferisce alle lettere Q ed R della parola “quatuor”, la quale fa parte del cartiglio sopra lo specchio nella stanza cieca del torrione meridionale. Arrivati alla fine del passaggio che passa per l’ossario, sentono dei colpi provenire dall’interno del muro e intuiscono che qualcuno per andare al finis Africae ha usato un’altro passaggio segreto, oltre lo specchio, e vi è rimasto intrappolato perché un altro, da sopra, deve avere bloccato il meccanismo. Finalmente riescono ad aprire il passaggio per il finis Africae attraverso lo specchio spingendo le lettere Q ed R ed entrano nella stanza segreta.

SETTIMO GIORNO

Notte

Nella stanza del finis Africae trovano Jorge seduto a un tavolo nel mezzo della stanza, che stava aspettando Guglielmo. A questo punto si scopre tutta la verità sugli omicidi di quei giorni. Anni prima, Jorge aveva rubato a Severino il veleno e, prima che Venanzio fosse riuscito ad entrare nel finis Africae e a sottrarre il libro, aveva spennellato sulle pagine del libro il suddetto veleno, in modo che chi volesse leggerlo, inumidendosi le dita per sfogliare i libro, di fatto, si suicidava. Così fa Venanzio, che, preso da un malore, era andato nelle cucine a bere un po’ d’acqua, ma pochi istanti dopo muore, infrangendo a terra la tazza. Berengario lo trova morto e allora, temendo che si apra un’indagine, poiché nessuno doveva entrare di notte nell’Edificio, e non sapendo cosa fare, si carica il corpo in spalla e lo butta nell’orcio del sangue, pensando che tutti si convincessero che era annegato. Poi, incuriosito dal libro, va nell’ospedale e lo legge. Dopo un po’, non sentendosi molto bene, va nei balnea per alleviare il dolore, come gli aveva suggerito più volte Severino. Ma lì muore per avvelenamento, lasciando il libro incustodito nell’ospedale fra quelli di Severino. L’erborista lo ritrova e, nel nartece, avvisa Guglielmo. Ma Jorge era vicino ai due e aveva sentito tutto, così fa credere a Malachia che Severino si fosse concesso a Berengario per il libro, e il gelosissimo bibliotecario lo uccide. Neanche Malachia però resiste alla tentazione di leggere il libro e muore in chiesa, mentre sta cantando. L’ultima vittima è l’Abate, che muore lentamente nel passaggio segreto che conduce al finis Africae, perché Jorge aveva reso inutilizzabili i meccanismi di apertura e chiusura delle porte. Il movente che spinge Jorge ad uccidere ben sei confratelli è impedire la lettura e quindi la divulgazione dell’unica copia del secondo libro della Poetica di Aristotele, dove l’autore, di grandissima fama e godente di grande rispetto da tutti, giustifica il riso e lo eleva ad arte: in questo modo, secondo Jorge, se si accettasse e apparisse nobile l’arte dell’irrisione, essa distruggerebbe il principio di autorità e sacralità del dogma. Guglielmo accusa Jorge di essere un assassino e poi addirittura il diavolo, ma il vecchio è sicuro di essere nel giusto.

Notte

Allora, accortosi che ormai è condannato, Jorge strappa e mangia ad una ad una le pagine del libro. Poi, spento il lume, scappa lontano da quella stanza, mentre Guglielmo ed Adso escono a fatica dal finis Africae. Lo rincorrono e lo trovano per terra, gli si avventano con impeto ma quello riesce a prendere il lume e a buttarlo su un ammasso di libri. Così in poco tempo tutta la biblioteca va in fiamme, mentre tutti i famigli corrono di qua e di là concludendo poco e niente. In men che non si dica tutta l’abbazia, che è costruita in buona parte in legno, viene a contatto con le fiamme, grazie anche ad un vento che contribuisce ad alimentare le fiamme.

ULTIMO FOLIO

L’abbazia arde per tre giorni e tre notti. Guglielmo ed Adso, giunti a Monaco, dove sarebbe arrivato l’imperatore, si separano per sempre e Guglielmo, oltre a dargli molti buoni consigli per gli studi, gli regala le lenti che gli aveva fabbricato Nicola. Guglielmo da Baskerville è morto durante la grande peste che ha investito l’Europa intorno al 1350. Anni dopo l’incendio dell’abbazia, Adso vi è tornato per rivisitare ciò che vi era rimasto, che non era molto: è riuscito a trovare dei fogli che ha custodito gelosamente come reliquie fino alla morte.

AMBIENTAZIONE STORICA E GEOGRAFICA

Essendo un manoscritto in cui l’autore lascia ai posteri testimonianza dei fatti accadutigli nel periodo della sua giovinezza, la durata del filone principale (cioè quello in cui Adso si accinge a scrivere: «Giunto al finire della mia vita di peccatore, mentre canuto senesco come il mondo […] mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere») è imprecisata («possiamo congetturare che il manoscritto sia stato stilato negli ultimi dieci o vent’anni del XIV secolo», come ci dice Eco nell’introduzione), mentre i fatti che lui racconta si svolgono verso la fine del novembre 1327 e hanno una durata di sette giorni. La narrazione è suddivisa per giorni e ogni giorno è diviso in periodi corrispondenti alle ore liturgiche secondo la regola benedettina.

Il contesto storico è ricostruito molto bene: nel 1314 a Francoforte viene eletto supremo reggitore dell’impero Ludovico di Baviera, mentre contemporaneamente viene anche eletto imperatore Federico d’Austria. Due anni dopo diventa papa Giovanni XXII, che non riconosce nessuno dei due come imperatore e, quando Ludovico batte Federico, il papa lo scomunica; immediatamente l’imperatore denuncia il papa come eretico. Inoltre in quegli anni l’ordine francescano, nelle figure degli “spirituali”, voleva ritornare alla purezza originale e perciò fanno loro l’ideale di povertà, affermando la povertà di Cristo, e condannano la ricchezza terrena della chiesa. Questo a Giovanni XXII non piacque affatto e li dichiarò eretici perché rivendicava il diritto di eleggere i vescovi, che aveva l’imperatore. Alché Ludovico appoggiò le tesi degli spirituali, facendoseli amici per contrastare il papa. Adso segue in Italia il padre, che era uno dei baroni fedeli all’imperatore, perché fosse presente all’incoronazione dell’imperatore a Roma, mentre alla fine dell’avventura all’abbazia Adso e Guglielmo si recano a Monaco, intuendo che l’imperatore sarebbe giunto in breve tempo lì, poiché, dopo l’incoronazione, era stato cacciato da Roma e anche a Pisa aveva sempre meno alleati. Negli anni successivi, Ludovico vide l’alleanza dei signori ghibellini disfarsi e l’anno dopo l’antipapa che aveva nominato si era arreso al papa.

Gli eventi che si raccontano avvengono in una non meglio precisata ricca abbazia benedettina dell’Italia settentrionale, «in una terra […] i cui signori erano fedeli all’impero e dove gli abati del nostro ordine di comune accordo si opponevano al papa eretico e corrotto.» Dalle informazioni che ci fornisce Adso quando va a cercare i tartufi con Severino («Il mattino del nostro arrivo, quando già eravamo tra i monti, a certi tornanti, era ancora possibile scorgere, a non più di dieci miglia e forse meno, il mare») ne traiamo che l’abbazia deve trovarsi da qualche parte della Liguria, poiché solo in questa regione settentrionale c’è il mare a breve distanza dalle montagne (mentre in Veneto ed Emilia Romagna c’è la pianura). È anche lo stesso Eco che, nell’introduzione, dice che «le congetture permettono di disegnare una zona imprecisa tra Pomposa e Conques, con ragionevoli probabilità che il luogo sorgesse lungo il dorsale appenninico, tra Piemonte, Liguria e Francia». L’abbazia, circondata da una cinta di mura, è situata su un pianoro sulla sommità di un monte; è composta da vari edifici, il più importante dei quali per la vita dell’abbazia è l’Edificio, dove al primo piano ci sono le cucine e il refettorio, al secondo piano c’è lo scriptorium e al terzo c’è la biblioteca, a cui poteva accedere solo il bibliotecario e il suo aiutante (questo solo in teoria). Inoltre c’erano l’orto e il giardino botanico, i balnea, l’ospedale, la chiesa, il chiostro, la casa dell’abate, il dormitorio e la casa dei pellegrini; sul lato orientale c’erano una serie di quartieri colonici, stalle, mulini, frantoi, granai e cantine. L’intero complesso era orientato secondo precisi dettami architettonici. Nella narrazione prevalgono i luoghi chiusi e un ruolo particolare è svolto dalla biblioteca, posto su cui è puntata la maggiore attenzione per tutta la durata della vicenda.

Qui sotto è presente lo schema della disposizione degli edifici dell’abbazia, presente nella prima pagina del libro.

Abbazia

La complicata costruzione della biblioteca è spiegata nel corso del riassunto.

PERSONAGGI

Adso da Melk

Di origini tedesche, è il narratore interno. All’epoca degli avvenimenti è un novizio benedettino giunto in Italia insieme al padre, barone fedele all’imperatore, perché fosse presente all’incoronazione di Ludovico a Roma, ma affinché non oziasse, su consiglio di Marsilio da Padova, segue un dotto francescano, Guglielmo da Baskerville, nella missione di mediare tra una delegazione pontificia ed una francescana, facendogli da scrivano e da discepolo. Di questo suo maestro ha molta ammirazione sia per l’acutezza della mente che per il fascino della parola, ma quando non lo conosce ancora bene, lo critica per i momenti di totale inattività, mentre in seguito capisce che «quanto più il suo corpo era disteso, tanto più la sua mente era in effervescenza.» Dopo aver peccato con la ragazza, il suo animo è combattuto tra due sentimenti opposti: da una parte «il mio intelletto la sapeva fomite di peccato», dall’altra «il mio appetito sensitivo l’avvertiva come ricettacolo di ogni grazia.» È curioso, ha molta voglia di apprendere, come quando non ha pace finché trova Ubertino e gli chiede di raccontargli di fra Dolcino; in certe occasioni è anche impulsivo, come quando vorrebbe salvare la ragazza dagli arcieri e Guglielmo lo trattiene più di una volta. Si può notare che nel corso della storia partecipano due Adso: l’actor, giovane e che non capisce ancora bene certe cose («[..] concluse Guglielmo, che era troppo filosofo per la mia mente adolescente»), e l’auctor, anziano che usa il libro anche come sfogo «per liberare la mia memoria appassita e stanca di visioni che per tutta la vita l’hanno affannata»: naturalmente solo quest’ultimo è onnisciente e comprende comportamenti e azioni che l’Adso giovane non si spiegava.

Guglielmo da Baskerville

È il protagonista del racconto. È un uomo alto e magro, ha occhi acuti e penetranti, il naso affilato e un po’ adunco, sopracciglia folte e bionde, il viso allungato e coperto di efelidi; ha circa cinquant’anni, ma nonostante questo si muove con grande agilità. È molto dotto in qualsiasi campo, dall’erboristeria alla filosofia, dal greco alla teologia. Anni prima era stato inquisitore, ma poi aveva abbandonato la sua carriera per vari motivi, tra cui il fatto che non gli piaceva torturare gli accusati perché, dice, «sotto tortura vivi come sotto l’impero di erbe che danno visioni» e, oltre a dire la verità, dicono anche ciò che ritengono che l’inquisitore voglia sentire: quindi l’inquisitore non cerca la verità, ma una persona da incolpare e poi bruciare. Dall’esperienza di inquisitore derivano le sue grandi capacità deduttive, tanto che il giorno in cui arriva all’abbazia, incontrando il cellario e diversi famigli provenienti di là, indovina che stavano cercando Brunello, il miglior cavallo della scuderia. Purtroppo in questa vicenda la sua prontezza di deduzioni non è così “pronta”, e non riesce ad impedire che, oltre ad Adelmo, vengano uccisi altri cinque monaci prima di scoprire l’assassino. Comunque da solo non avrebbe concluso granché: infatti è Alinardo che gli svela come entrare nell’Edificio di notte, è Venanzio che gli svela come entrare nel finis Africae attraverso un rompicapo cifrato, è grazie ad Adso che gli viene in mente cosa significasse quel messaggio; d’altra parte è anche vero che è lui a decifrare il suddetto messaggio, è lui a scoprire la disposizione delle stanze della biblioteca guardando l’Edificio dall’esterno, è lui a fare le ipotesi giuste, ed è infine lui a smascherare il colpevole. Ma il suo compito primario non era quello di indagare in queste misteriose morti, bensì era stato inviato dall’imperatore in quell’abbazia per fare da mediatore tra una delegazione francescana e una papale. Egli rappresenta gli innovatori.

Jorge da Burgos

«Un monaco curvo per il peso degli anni, bianco come la neve, non dico solo il pelo, ma pure il viso, e le pupille. Mi avvidi che era ceco. La voce era ancora maestosa e le membra possenti anche se il corpo era rattrappito dal peso dell’età. Ci fissava come se ci vedesse, e sempre anche in seguito lo vidi muoversi e parlare come se possedesse ancora il bene della vista. Ma il tono della voce era invece di chi possiede solo il dono della profezia.» Egli è il più vecchio tra i monaci dell’abbazia, dopo Alinardo, e conosceva tutti segreti dell’abbazia meglio di chiunque altro, anche dell’abate. Fu lui a far eleggere Abbone come abate e Roberto da Bobbio e Malachia come bibliotecari, che erano ai suoi ordini, per continuare a governare segretamente l’abbazia per quarant’anni. È per difendere l’inviolabilità del II libro della poetica di Aristotele, unica copia al mondo, che giustifica e apprezza il riso, che Jorge lo cosparge di veleno e provoca la morte di tutti coloro che lo hanno sfogliato. Tecnicamente non è lui l’assassino, in quanto chi sfogliava le pagine del libro ingoiava il veleno suicidandosi, e lui non si ritiene tale quando Guglielmo lo accusa, ma accetta il rischio della dannazione. Rappresenta i conservatori.

Bernardo Gui

È un personaggio realmente esistito, noto inquisitore che scrisse un manuale per agevolare i suoi colleghi, la “Practica officii inquisitionis heretice pravitatis”, che viene anche citata nel capitolo vespri del terzo giorno. Nel romanzo è al tempo stesso al comando dei soldati francesi e membro della legazione pontificia. Ecco come lo descrive Adso la prima volta che lo vede: «Mi colpirono i suoi occhi grigi, freddi, capaci di fissare senza espressione, e che molte volte avrei visto invece balenare di lampi equivoci, abile sia nel celare pensieri e passioni che nell’esprimerli a bella posta». Durante la sua permanenza all’abbazia viene incaricato di scoprire l’assassino e fa confessare a Salvatore crimini che non aveva commesso. Infatti il suo obiettivo non è scoprire la verità, ma trovare un colpevole a tutti i costi, praticando la tortura. Lui rappresenta la vera mala pianta dell’epoca, che non è la genie di fraticelli eretici, ma è chi mandava al rogo delle persone innocenti, vedendo streghe dappertutto: per questo è l’acerrimo nemico di Guglielmo.

Personaggi minori

L’abate Abbone, gli altri monaci dell’abbazia, tra cui Remigio, il cellario, Salvatore, Nicola, mastro vetraio, Severino, erborista, Malachia, il bibliotecario, Bencio, Berengario, il gruppo degli italiani (costituito da Alinardo, il più vecchio di tutta l’abbazia, Aymaro, Pietro e Pacifico), Venanzio, i membri delle due legazioni, tra cui spiccano Michele da Cesena e il cardinal Bertrando e i centocinquanta famigli che lavorano all’abbazia.

LINGUAGGIO E STILE

Umberto Eco, nel primo capitolo del libro intitolato “Naturalmente, un manoscritto” (quel “naturalmente”, in tono ironico, fa già intuire che sia una finzione stilistica), afferma di aver tradotto in italiano una traduzione di un manoscritto del XIV secolo scritto da un certo Adso da Melk, ma noi sappiamo che in realtà è solo un artifizio stilistico per parlare nel Medioevo, non solo del Medioevo.

Il tono predominante è drammatico e referenziale; solo a volte esso diviene ironico, per opera di Guglielmo (la famosa comicità inglese). La sintassi è prevalentemente semplice, mentre il lessico è più complesso: nel testo sono presenti arcaismi, termini insoliti, astrusi termini religiosi o propri di altre discipline specifiche; inoltre si trovano frasi in latino, tedesco e spagnolo, e tutte queste lingue si trovano mescolate insieme nelle parole di Salvatore.

Nel romanzo coesistono parti narrative che si alternano a lunghe digressioni di carattere filosofico, teologico e storico. Sono frequenti le descrizioni di scene ma anche di personaggi, molto lunghe, come quella del sogno fatto da Adso. Sono presenti in egual misura il discorso diretto e quello indiretto, ma, mentre alcuni capitoli sono quasi esclusivamente raccontati (per esempio quello in cui Adso fa delle riflessioni sulla storia del suo ordine e sul destino dei libri o dove si riassumono i principali eventi del secolo), in altri ci sono solo dialoghi.

Eco ha usato la tecnica dell’intertestualità, che consiste nella ripresa, spinta fino alla citazione più o meno letterale, di espressioni o brani ricavati da altri testi, di varia origine e provenienza, come l’Apocalisse, i Vangeli, il Cantico dei Cantici e diversi altri filosofi antichi e medievali.