Analisi de IL BARONE RAMPANTE di Calvino

AUTORE

Italo Calvino (Santiago de las Vegas, 1923 - Siena, 1985)

DATA PRIMA EDIZIONE

La prima edizione de “Il barone rampante” uscì presso l’editore Einaudi nel giugno del 1957. Nel 1965 Calvino ne curò un’edizione annotata per le scuole medie, celandosi dietro il nome anagrammato di Tonio Cavilla.

SINTESI DEL ROMANZO DIVISO PER CAPITOLI

Capitolo 1

In questo capitolo vengono presentati tutti i componenti della famiglia Rondò: Cosimo (il protagonista) e suo fratello Biagio, il Barone Arminio Piovasco, il padre, la Generalessa Corradina, la madre, la sorella Battista, l’abate Fauchelafleur, aio dei ragazzi, e il Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega, amministratore e idraulico dei loro poderi.

Cosimo Piovasco di Rondò il 15 giugno 1767 decide di ribellarsi ai suoi famigliari, sottraendosi ai pasti mostruosi preparati dalla sorella Battista. Infatti quel giorno aveva cucinato zuppa di lumache e pietanza di lumache. Alla minaccia di essere rinchiusi nello stanzino, Biagio cede, mentre Cosimo, per protesta, inizia la sua avventura sugli alberi giurando che non sarebbe sceso mai più. Prima di salire sull’albero, però, si veste come per le occasioni importanti: capelli incipriati col nastro al codino, tricorno, cravatta di pizzo, marsina verde a code, calzonetti color malva, spadino e lunghe ghette di pelle bianca a mezza coscia.

Capitolo 2

Inizialmente Cosimo si limita a guardare il mondo dall’alto dell’elce; poi osserva che un ramo dell’olmo passa mezzo metro sopra a un ramo dell’elce: così inizia il suo peregrinaggio in cima agli alberi. Poi si decide ad andare al di là del muro che separa il suo giardino da quello dei D’Ondariva e lì incontra una bambina di circa dieci anni che dondola un’altalena canticchiando e mangiando una mela: è Viola, la figlia dei D’Ondariva. Cosimo prima dichiara di essere un ladro di frutta, poi un brigante e infine il capo dei briganti, ma la bambina dice di conoscere tutte queste categorie, ma di non averlo mai visto. Ma quando fa capire alla bambina di essere uno dei Rondò, Viola diventa più cattiva, e gli dice che lo avrebbe fatto bastonare dai servi; ma Cosimo afferma di essere nel suo territorio, che è sui rami degli alberi. Quindi viene la zia di Viola che invita Cosimo a prendere un tazza di cioccolata con loro, ma lui fugge.

Capitolo 3

Quel pomeriggio Cosimo racconta al fratellino della bellezza del giardino dei vicini e gli chiede di portargli delle corde e una coperta perché, con grande stupore di Biagio, ha intenzione di passare la notte sugli alberi. Non cede alle insistenze dei genitori, che lo hanno perdonato, di scendere e assiste alla cena dei suoi famigliari guardando da fuori, arrampicato su di un ramo. Biagio all’inizio non riesce a dormire pensando al povero Cosimo che non ha un materasso morbido e pensando alla propria fortuna di averlo.

Capitolo 4

Cosimo incontra i ladri di frutta sugli alberi e, senza volere, li salva dai contadini, che si erano alleati contro i ladruncoli, facendo loro strada tra i rami degli alberi. La seconda volta, però, i contadini si organizzano meglio occupando gli alberi intorno a quello dove stavano i ragazzi. Ma quelli riescono ugualmente a salvarsi buttandosi a terra; Cosimo, invece, sta per essere infilzato con una forca, quando viene riconosciuto e allora i contadini si offrono di riaccompagnarlo a casa. Ma lui scappa via per gli alberi pensando alla Sinforosa, la bambina di cui i ragazzi gli avevano parlato poco prima.

Capitolo 5

Cosimo viene a sapere dai ladruncoli che la Sinforosa è Viola e che un po’ di tempo prima li aveva traditi: come li avesse traditi non è chiaro, sembra che li avesse fatti bastonare dai servi. La madre, reduce dall’educazione militare, usa un cannocchiale e una cartina della zona per seguire i suoi spostamenti: certe volte lui la saluta e lei è contenta, essendosi rassegnata all’idea che non sarebbe mai più sceso dagli alberi. Al contrario, suo padre è sempre in apprensione e chiede all’abate di esorcizzarlo, ma quest’ultimo non ne è capace. All’improvviso si sente il corno della Sinforosa: allora tutti i ragazzi corrono verso di lei, compreso Cosimo. Questo le dice di non essere mai sceso dagli alberi e poi si pente di averlo detto per gloriarsene. Mentre i ragazzi tornano alle loro case, Cosimo e Viola giocano a rincorrersi tra gli alberi, finchè lei arriva in riva al mare e lui la guarda da un pino.

Capitolo 6

Poiché Cosimo va spesso nel giardino dei D’Ondariva, suo padre organizza una battuta lì per prenderlo e riportarlo a casa. Il Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega viene incaricato dal Barone di guidare la battuta con servitori muniti di scale e corde. Naturalmente non riescono neppure ad avvicinarlo, talmente è rapido nel passare da un albero all’altro. Alla fine si presenta il Marchese d’Ondariva, infastidito per il trambusto che la squadra capitanata dallo zio naturale faceva. Allora, come se niente fosse, l’avvocato si mette a parlare con il Marchese dei giochi d’acqua della vasca, come per ingraziarselo.

Nell’esplorare il suo territorio, Cosimo incontra ed affronta un gatto selvatico, riuscendo a vincere e ad ucciderlo. Poi va da Viola per farle vedere il trofeo, ma lei sta partendo per il collegio e gli dice appena un - Ma bravo! -.

Capitolo 7

Battista è l’ultima che prova a catturare Cosimo, invischiando un carrubo, ma anche questo tentativo fallisce.

In questo capitolo viene raccontato come il Barone vorrebbe diventare Duca e la storia del Carrega, il quale era caduto in disgrazia due volte, prima in un paese maomettano e poi a Venezia, dove fu riscattato dal Barone e investito da quello della carica di amministratore delle proprietà dei Rondò. Egli non parlava molto ed era poco gradito alla famiglia, eccetto al Barone.

Capitolo 8

Per la prima volta dopo il pranzo di lumache, il Barone incontra suo figlio arrampicato su un albero, e ne ottiene di fargli continuare gli studi sotto la guida dell’Abate.

Comincia a piovere e Biagio si preoccupa per il fratello, immaginandolo tutto zuppo, ma sua madre suppone che si sia costruito una riparo sugli alberi. In ogni modo gli porta un ombrello, una bottiglia di sciroppo di mele caldo e un panno; i due parlano un po’ delle nuove amicizie di Cosimo stando riparati nella casetta provvisoria che ha costruito.

Riprendono le lezioni di latino con l’Abate Fauchelafleur, che inizialmente sta seduto su uno sgabelletto sull’erba, sotto l’albero dove sta Cosimo, ma poi sale su di esso. Quando poi l’allievo se ne va, lasciando l’abate sull’albero a guardare nel vuoto, e quello si riprende dalla distrazione, grida aiuto.

Capitolo 9

Cosimo inizia ad avere buoni rapporti con tutta la gente che incontra, dai contadini ai carbonai, e si rende loro utile in ogni modo, anche portando dei messaggi.

I conti d’Estomac, diretti in Francia, fanno visita ai Rondò. Il Barone presenta la famiglia, ma, poiché si vergogna, cerca di tenere nascosto il fatto che Cosimo, il primogenito, viva sugli alberi. Ma alla sera Cosimo viene sugli alberi del giardino dei Rondò: il Barone cerca di sdrammatizzare dicendo che è un gioco che fanno i ragazzi, ma quando il Conte dice che l’avrebbe raccontato a Corte, quello schiatta. Tuttavia la famiglia dei Rondò fa una così buona impressione al Conte che Battista si fidanza col Contino d’Estomac.

Capitolo 10

In questo capitolo viene descritta la giornata tipo di Cosimo e le sue usanze. Con l’inverno deve cucirsi dei vestiti più pesanti; per la notte si infila in un otre di pelo appeso a un ramo; per lavarsi ha una sua fontana sugli alberi, in cui l’acqua di una cascata viene convagliata sui rami di una quercia; con lo stesso metodo certe volte fa anche il bucato; con l’aiuto di suo fratello, trova anche il modo di arrostire allo spiedo la selvaggina che caccia; scambia con i contadini la selvaggina per frutta e ortaggi; ha anche una capra che si fa mungere da lui e una gallina che gli lascia un uovo nella cavità di un tronco ogni due giorni; per i suoi bisogni trova un ontano che sporge su un torrente in cui confluiscono le acque di scolo dei paesi vicini. L’unica cosa che gli manca, da cacciatore quale Cosimo è, è un cane. Un giorno, andando a caccia, ne trova uno senza padrone: è un bassotto che chiama Ottimo Massimo, e diventa il suo migliore amico. Inoltre scopre che era il cane di Viola, e questo lo rende ancora più prezioso.

Capitolo 11

Nonostante tutto, i rapporti tra Cosimo e la famiglia continuano: per un certo periodo continua ad andare alla Messa assistendovi da un leccio vicino ad una finestra della chiesa; la sera che nella casa dei Rondò si festeggia il fidanzamento di Battista con il Contino d’Estomac, Cosimo è su un albero vicino alla casa; inoltre si intensificano i rapporti con il Cavalier Avvocato. Infatti Cosimo scopre che ha la passione per l’apicoltura e che possiede diversi alveari sparsi per tutta la vallata d’Ombrosa. Un giorno lo aiuta a mettere uno sciame di api in un’arnia. Così tra i due nasce quasi un’amicizia. Un’altra passione dell’avvocato è l’idraulica e anche in questo campo i due si incontrano: infatti il Carrega prende spunto dall’idea di Cosimo della fontana pensile per progettare un acquedotto pensile che possa irrigare il versante opposto della valle, gerbido. Però dopo una settimana tutto quanto è solo un ricordo lontano. Infatti Enea Silvio ha tante idee, anche buone, ma non riesce mai a realizzarle perché dopo poco si perde.

Il conoscere meglio lo zio serve a Cosimo come modello da non seguire.

Capitolo 12

Sentendone parlare molto, Cosimo si interessa a Gian dei Brughi, il brigante più temuto in tutta la regione, e vorrebbe incontrarlo, ma, pur stando in giro tutta la notte, non vi riesce mai. Poi capisce che procedendo da valle verso il bosco il terrore per il brigante si affievolisce in un atteggiamento dubbioso. Un pomeriggio che stava leggendo un libro su un noce, vede il malvivente inseguito da due sbirri. Allora gli butta una fune per arrampicarsi e depista i poliziotti. Poi si mettono a parlare e sono felici di scoprire che si conoscono entrambi per fama. Così iniziano i rapporti culturali tra Gian dei Brughi e Cosimo, il quale deve prendere i libri da un mercante di libri ebreo e passarli al brigante. Questo, non facendo altro che leggere tutto il giorno, diventa un buono a nulla e tutti i suoi compagni di scorribande di un tempo lo evitano. Ma due di essi lo vorrebbero riabilitare e lo istruiscono a derubare il gabelliere. Ma il brigante ha talmente fretta di tornare nel suo rifugio a leggere che viene preso, processato e infine impiccato.

Capitolo 13

Grazie a Gian dei Brughi, Cosimo ha la passione per la lettura e per lo studio ed ora è lui a cercare l’Abate perché gli faccia lezione. Però Fauchelafleur non è all’altezza e il rapporto tra di loro si capovolge: Cosimo diventa l’insegnante e l’Abate l’allievo. Quando l’Inquisizione viene a sapere che l’Abate legge opere scomunicate, egli viene incarcerato e alla fine muore.

Cosimo costruisce una biblioteca pensile per i libri e impara l’arte di potare gli alberi, cosicché può aiutare i coltivatori di frutteti e, nello stesso tempo, fare i propri interessi rendendo meglio praticabili le vie arboree.

Capitolo 14

Arriva un’estate di siccità e calura e ad Ombrosa c’è il pericolo di incendi. Dopo che dei malviventi, che ritenevano Cosimo responsabile della morte di Gian dei Brughi, cercano di ucciderlo appiccando un incendio all’albero su cui dorme, Cosimo organizza un’associazione di gente onesta, che recluta lui stesso, per spegnere eventuali incendi. Così riescono a salvare il bosco tre o quattro volte e poi si scopre che i responsabili erano Ugasso e Bel-Lorè, ex-ladri di frutta. In seguito a questi avvenimenti, la gente mostra benevolenza verso Cosimo e queste voci giungono anche presso la famiglia. Così un giorno il Barone fa visita al figlio e gli dà la sua spada, dicendogli che non ha più molto da vivere e di essere degno del suo nome e del titolo. Infine gli dice addio e volta il cavallo.

Capitolo 15

In questo capitolo viene narrata una delle tante versioni della storia sul tradimento del Cavalier Avvocato.

Frequentando lo zio, Cosimo si accorge del suo strano contegno. Una notte lo vede andare verso il mare con una lanterna in mano e, dopo aver fatto segno con essa, si avvicina alla riva un’imbarcazione e da questa scendono dei Turchi. Il Cavalier Avvocato e i pirati parlano in franco, ma Cosimo riesce ugualmente a capire che li sta informando sui giorni d’arrivo e di partenza delle navi d’Ombrosa, del carico che hanno, della rotta e delle armi che portano a bordo: Enea Silvio sta tradendo la terra che lo aveva accolto dopo anni di miseria. Allora Cosimo decide che la prima notte che si sarebbe svolta la stessa scena avrebbe spaventato lo zio e i pirati sparando verso di loro, in modo da far cessare i rapporti tra le due parti. La terza notte che è appostato tornano i maomettani, ma, contrariamente alla prima volta, portano il loro bottino in una grotta. Allora Cosimo chiama i suoi amici carbonai che riescono ad avere la meglio e si impossessano di tutte le merci; da parte sua, il ragazzo uccide tre ufficiali turchi con la spada. Il Carrega riesce a scappare con la barca su cui c’è ancora Cosimo, ripetendo all’infinito Zaira e Allah mentre rema: a quanto pare Zaira è una donna che aveva amato o sua figlia. Finalmente incrociano una barca di pirati e due giannizzeri lo prendono a bordo, ma poi gli mozzano la testa, forse perché lo ritengono responsabile del bottino e dei compagni perduti.

Capitolo 16

Per non dare un dispiacere ancora più grande al padre, che era molto affezionato al suo fratellastro, e affinché i carbonari non debbano rendere ai legittimi proprietari la merce dei maomettani, Cosimo racconta diverse versioni della storia.

Dopo la morte del Carrega, il Barone si prende cura delle api, per rispetto della memoria, ma un giorno viene punto da un intero sciame e, nonostante si sia ripreso, muore poco dopo. Così il nuovo barone era Cosimo, che si occupa dei suoi beni saltuariamente.

In quei tempi ha l’abitudine di raccontare agli Ombrosotti tutte le sue avventure, più o meno inventate che siano. Così un giorno viene a sapere che in un paesino vicino, a Olivabassa, ci sono degli Spagnoli che vivono sugli alberi e non si dà pace finchè non ci va.

Capitolo 17

Per arrivarci ci impiega due giorni, e man mano che s’avvicina, la gente, nel vederlo, lo saluta in spagnolo. Apprende la storia di questi Spagnoli in seguito a una conversazione con il Principe Sanchez e grazie all’intermediazione del gesuita Padre Sulpicio per problemi relativi alla lingua: sono dei nobili spagnoli esiliati che, per un antico trattato con Sua Maestà Cattolica, non possono “toccare il suolo” di quel territorio. Così sono obbligati a stare sugli alberi e, nonostante tutto, si sono organizzati bene. Poi Cosimo va a far visita ai vari membri della colonia, ed è così che conosce Ursula, di cui si innamora.

Capitolo 18

Si rende utile insegnando agli Spagnoli come passare da un albero all’altro e costruendo dei ponti di corda, serbatoi d’acqua e altro. Si fa mandare da Ombrosa dei libri che fa leggere a Ursula e ad El Conde, un vecchio che soffre più di tutti l’esilio e che è una specie di capo spirituale. Una notte Don Sulpicio lo vuole giustiziare in nome della Santa Inquisizione, perché leggendo si fa nuove idee eretiche, ma Cosimo riesce ad arrivare in tempo e a salvarlo. Allora i due ingaggiano un duello con la spada e il Gesuita dichiara di avere ancora un conto in sospeso con i Rondò; ma poi arrivano gli altri esuli che conciliano Sulpicio ed El Conde. Don Frederico, padre di Ursula, offre a Cosimo di sposare sua figlia e di venire a Granada con loro quando l’esilio sarebbe finito, ma quando ciò avviene, con grande dispiacere di entrambi, le strade del Barone e di Ursula si separano.

Capitolo 19

Dopo Ursula, pare che il Barone abbia avuto molte altre avventure amorose, tanto che quando non si conosce il padre, il bimbo viene attribuito a Cosimo. In quel tempo scrive un Progetto di Costituzione d’uno Stato ideale fondato sopra gli alberi, ma poi diventa più una raccolta di storie. Ne manda un riassunto al Diderot che ringrazia con un biglietto.

Capitolo 20

Biagio si concede un periodo di viaggi prima di prendere le redini della famiglia. Così scopre che suo fratello è molto conosciuto in tutta Europa: per esempio a Parigi incontra Voltaire che chiede notizie dell’uomo che vive sugli alberi. Purtroppo deve tornare ad Ombrosa perché l’asma di sua madre si aggrava. Cosimo si prende cura di lei da un albero vicino alla finestra della stanza, ma un giorno quella muore. Qualche anno dopo, Biagio si sposa con una ragazza della nobiltà dei dintorni e, quando nascono i bambini, vanno ad abitare nel castello del vecchio feudo di Rondò perché la moglie pensa che Cosimo possa avere una cattiva influenza sui figli.

Gli anni passano anche per Cosimo e per Ottimo Massimo, che sta tutto il giorno accucciato. Ma un giorno si alza e guida il padrone nella bandita di caccia del Duca Tolemaico. Cosimo lo può seguire solo fino a un punto, dopo del quale c’è un prato invalicabile per il Barone, ma il cane continua fino a non essere più visibile. Viene a sapere da un guardiacaccia che il Duca è morto e che la vedova, una giovane ventunenne, è venuta lì con la Corte; inoltre gli dicono che il cane è con lei e che sembrano conoscersi da molto tempo.

Capitolo 21

Cosimo aspetta per giorni e giorni su un frassino il ritorno del bassotto. Finalmente vede qualcosa muoversi in lontananza: è una donna a cavallo seguita da due uomini, anch’essi a cavallo. Lui pensa di averla riconosciuta come Viola, e va ad aspettarla nel giardino dei d’Ondariva. Dopo un po’ lei e dei servitori arrivano, e, come la prima volta che si erano visti, lui è sull’albero di magnolia. Quando lei lo vede è molto sorpresa, e gli dà appuntamento un’ora dopo in fondo al parco. Lì si raccontano quello che hanno fatto negli anni in cui non si erano visti e si innamorano l’uno dell’altra.

Capitolo 22

Cosimo e Viola passano molto tempo insieme sugli alberi. Non mancano però le liti, ma basta qualche minuto che i due si sono già riappacificati e riprendono ad amoreggiare. Quando poi Cosimo dimostra la sua incredibile gioia saltando, gridando e proclamando le meraviglie della sua dama, lei è così felice che ricambia in manifestazioni d’amore altrettanto rapinose.

Capitolo 23

Ci sono però dei momenti in cui lei gira per mesi per l’Europa a curare i suoi beni, ed è allora che Cosimo cerca di riprendere la sua vita di sempre, cacciando, studiando, ma non vi riesce perché pensa sempre e solo a Viola e capisce che senza di lei la sua vita non ha senso. Poi quando lei torna ricomincia la stagione degli amori, ma anche quella delle gelosie, perché nessuno sa cosa ha fatto la Marchesa durante il viaggio, e Cosimo ne soffre molto. Biagio fa un nuovo viaggio a Parigi e lì incontra Viola in uno dei salotti più illustri, attorniata da mille spasimanti. Al ritorno ad Ombrosa, Biagio mette al corrente il fratello dei fatti, e questo diventa più che mai geloso e triste allo stesso tempo. Poi lei ritorna e lui torna ad essere felice. Ma qualche giorno dopo due ufficiali di due navi diverse, uno inglese e l’altro napoletano, si innamorano di Viola e le fanno la corte. Cosimo, accecato dalla gelosia, un giorno le risponde male, anche se non avrebbe voluto, così lei se ne va da Ombrosa per sempre. Entrambi vivono scontenti di sé stessi per essersi lasciati sfuggire la persona che amano: Viola sposa un Lord inglese e va a vivere a Calcutta, dove ammira le foreste dalla terrazza e ogni momento crede di vedere Cosimo tra i rami; lui, dopo aver capito gli errori che ha commesso, diventa matto.

Capitolo 24

Così si avvicina al mondo degli uccelli nel modo di vestirsi, adornandosi di piume, diventa il loro avvocato difensore, e scrive delle opere dedicate agli uccelli. D’inverno sta quasi tutto il giorno nel suo sacco, e la sua salute peggiora sempre più. Le sue doti di ingegno tornano all’arrivo dei lupi: infatti gli viene l’idea di legare una pecora su un albero per attirare i lupi e lui dall’albero le uccide con il fucile. Poi il Comune d’Ombrosa, in segno di riconoscenza, paga le spese per alcuni dottori che lo visitano e lo guariscono.

Capitolo 25

Cosimo entra nella Massoneria e gli capita di rivedere Don Sulpicio, il Gesuita suo vecchio nemico. I due si sfidano per la seconda volta a duello e Cosimo riesce a infilzarlo nel ventre: i due compagni gesuiti lo portano via e non si è mai saputo se sia morto o solo ferito. Oltre alla Massoneria è affiliato a molte altre confraternite di mestiere, poiché conosceva molte arti. Probabilmente è stato lui a fondare la Massoneria ad Ombrosa, per il fatto che molti rituali ricordano la vita di Cosimo sugli alberi.

Capitolo 26

Quando arriva settembre ed è tempo di vendemmia, gli Ombrosotti decidono di non dare i tributi ai nobili, al vescovo e al governo. Così riescono a cacciare gli esattori e per questo fanno festa. Ma qualche giorno dopo vengono le truppe genovesi e austrosarde che ristabiliscono l’ordine, e si fermano a presidiare il territorio: si ferma anche un presidio austrosardo, con a capo il marito di Battista, così si stabiliscono a casa di Biagio, per sua sfortuna.

Capitolo 27

Nei boschi ci sono gli Austrosardi e le truppe francesi che combattono e Cosimo, più di una volta, aiuta i Francesi. Una volta getta sui soldati avversari dei porcospini, gatti selvativi e bruchi, cosicché la truppa viene catturata facilmente dai Francesi; un’altra volta aiuta la truppa francese ad essere più combattente tirando delle pulci a ogni soldato.

Capitolo 28

Cosimo viene nominato nella giunta provvisoria di Ombrosa ma non è rieletto con l’avvento della Repubblica Ligure. Passa molto tempo nel bosco con gli zappatori del Genio francese, che gli raccontano tutte le avventure che hanno vissuto in guerra. Inoltre aiuta i tracciatori a delineare il percorso della nuova strada. Nella sua visita in Italia, Napoleone passa anche per Ombrosa. L’incontro tra i due ricorda all’imperatore quello tra Alessandro e Diogene, e, dopo aver detto in ottimo italiano «Se io non era l’Imperator Napoleone, avria voluto ben essere il cittadino Cosimo Rondò», si volta e se ne va.

Capitolo 29

Un giorno, dopo che Napoleone è stato sconfitto in Russia, Cosimo vede tre militari francesi, gli unici superstiti del Terzo Reggimento degli Usseri. Poco dopo passa un drappello di soldati russi a cavallo, preceduti da un ufficiale. Mentre Cosimo parla con quest’ultimo in francese, i cosacchi tornano trascinando per terra tre corpi e reggendo in mano le teste tagliate dei tre Usseri.

Capitolo 30

A più di sessantacinque anni Cosimo si ammala e il dottore lo dà per spacciato. Nonostante soffra, si ostina a rimanere sugli alberi; allora gli Ombrosotti cercano di rendergli più comodi i suoi ultimi giorni di vita issando un letto, una poltrona e altri oggetti.

Un giorno sale in cima all’albero e, sotto di esso, una ventina di persone tengono teso un lenzuolo aspettando che il Barone caschi. In quella una mongolfiera inglese sorvola i cieli di Ombrosa: un colpo di vento la fa girare vorticosamente, così gli aeronauti srotolano giù l’ancora in cerca di un appiglio. Questa passa vicino a Cosimo e lui vi si aggrappa allontanandosi all’orizzonte. Quando la mongolfiera scende a terra, lui non c’è più, probabilmente si è lasciato cadere nel golfo. Da allora ad Ombrosa tutto è cambiato, a partire dalla vegetazione, che ora è fatta di piante provenienti da ogni parte del mondo.

AMBIENTAZIONE STORICA E GEOGRAFICA

Il romanzo è ambientato a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento (esattamente, inizia il 15 giugno 1767 e finisce nel 1820 circa) in un paese immaginario, Ombrosa, ma ci rendiamo presto conto che questa Ombrosa si trova in un punto imprecisato della Riviera ligure.

I luoghi esterni più significativi sono Ombrosa, il giardino dei D’Ondariva, il bosco, la campagna circostante il paese di Ombrosa, Olivabassa e la bandita di caccia del Duca Tolemaico.

I luoghi interni più significativi sono le stanze della villa dei Rondò, specialmente quella della madre di Cosimo.

PERSONAGGI

Cosimo

Cosimo è il protagonista del racconto. All’età di dodici anni, per non sottostare a un sopruso dei genitori, che gli volevano far mangiare delle lumache, si alza da tavola e si arrampica su un albero giurando che non sarebbe mai più sceso. E così fece. Prima di salire sull’albero, però, si veste «con grande proprietà, come nostro padre voleva venisse a tavola, nonostante i suoi dodici anni: capelli incipriati col nastro al codino, tricorno, cravatta di pizzo, marsina verde a code, calzonetti color malva, spadino e lunghe ghette di pelle bianca a mezza coscia.»

È molto agile e veloce sugli alberi, anche più di tutti i ragazzi ladri di frutta messi insieme, qualità che gli vengono da anni di esperienza insieme al fratello. Stando sugli alberi gli vengono la schiena arcuata e le gambe storte, e la sua salute è sempre precaria vivendo così all’aria aperta, ma riesce ad aggiustarsi il meglio possibile, facendosi da sé quasi tutte le cose che gli servivano, come la fontana pensile, con cui si lavava; un luogo predisposto a focolare, che gli serviva per arrostire allo spiedo la selvaggina (questo però l’aveva fatto Biagio); amache e padiglioni pensili, che aveva fatto installare Viola; i vestiti, che fa con la pelle degli animali che caccia.

Pur vivendo sugli alberi non è affatto un asociale e anzi ha l’occasione di conoscere molte persone e ad apprendere da loro le più disparate arti: infatti poi sarà affiliato a varie associazioni o confraternite di mestiere, come quella di San Crispino o quella dei Calzolai. Inoltre ha molte amanti e per questo gli Ombrosotti spettegolano molto.

Grazie al bandito Gian dei Brughi, si appassiona alla lettura e allo studio, tanto che è lui a chiedere all’Abate di spiegargli certe cose, ma questo non ne è all’altezza; conosce molte lingue e, anche per esercitarvisi, ha dei rapporti epistolari con i maggiori filosofi e scienziati d’Europa, come Diderot. È un uomo molto intelligente e mette il suo ingegno al servizio della comunità (in questo caso di Ombrosa), come quando salva il bosco dagli incendi o quando riesce ad uccidere i lupi che erano arrivati a valle.

Ha una grandissima forza di volontà, ma la virtù che lo contraddistingue maggiormente è la costanza, che ha sin da bambino, in quanto riesce a passare tutta la vita sugli alberi, senza mai scendere: addirittura il suo corpo non può essere sepolto perché, arrivato alla fine dei suoi giorni, si aggrappa alla corda che pende da una mongolfiera e si presume che si sia lasciato cadere nel mare.

Tutto ciò contribuisce a renderlo strano, ma anche affascinante agli occhi della società, tanto che la sua fama si spinge fino all’estero, e quando Biagio, in uno dei suoi viaggi a Parigi, incontra Voltaire, questo gli chiede dell’uomo che vive sugli alberi.

Il suo primo e unico vero amore è Viola, ma è un amore che va e viene, e alla fine i due si separano per sempre. Il maggior motivo di separazione è l’enorme gelosia che Cosimo prova nel sapere Viola corteggiata da molti ammiratori, e l’ottusità che dimostra nei confronti dell’amore. Quando poi riesce a capire che Viola «stimava solo Cosimo degno di essere il suo unico amante, e tutte le sue insoddisfazioni e bizze non erano che la smania insaziabile di far crescere il loro innamoramento non ammettendo che toccasse un culmine», è ormai troppo tardi.

Biagio

Biagio è il fratello minore di Cosimo, più piccolo di quattro anni, nonché il narratore.

Prima di quel fatidico giorno in cui Cosimo è salito sugli alberi, i due fratelli giocavano sempre insieme, arrampicandosi sugli alberi, risalendo i torrenti saltando da uno scoglio all’altro, esplorando caverne in riva al mare e scivolando per le balaustre di marmo delle scalinate della villa; ma dopo, il loro rapporto si è incrinato perché Cosimo lo vedeva come un traditore per aver ceduto ed aver mangiato le lumache. Comunque col tempo le discordie tra i due cessano, e, quando Biagio compie ventun’anni, Cosimo gli propone di gestire i beni familiari, purché gli desse ogni mese un po’ di soldi per pagare i libri. Come già detto, è dotato di molta meno forza di volontà rispetto al fratello, e dà ragione a suo padre quando dice che in famiglia ne basta uno di scapestrato. Nonostante il gran trambusto di quei tempi, si sposa e riesce a vivere una vita regolata e pacifica: «[…]sono stato sempre un uomo posato, senza grandi slanci o smanie, padre di famiglia, nobile di casato, illuminato di idee, ossequiente alle leggi. Gli eccessi della politica non m’hanno dato mai scrolloni troppo forti, e spero che continui così. Ma dentro, che tristezza!». È talmente scosso dalla morte del fratello che, dice, «il segno delle cose cambiate per me non è stato né l’arrivo degli Austrorussi né l’annessione al Piemonte né le nuove tasse o che so io, ma il non veder più lui, aprendo la finestra, lassù in bilico.» Inoltre cerca di emulare Cosimo, in suo ricordo: «Ora che lui non c’è, mi pare che dovrei pensare a tante cose, la filosofia, la politica, la storia, seguo le gazzette, leggo i libri, mi ci rompo la testa, ma le cose che voleva dire lui non sono lì, è altro che lui intendeva, qualcosa che abbracciasse tutto, e non poteva dirla con parole ma solo vivendo come visse.»

Viola

L’amore della vita di Cosimo. Da piccola viene descritta come «una bambina bionda, con un’alta pettinatura un po’ buffa per una bimba, un vestito azzurro anche quello troppo da grande, la gonna che ora, sollevata sull’altalena, traboccava di trine.» Dopo qualche tempo da quando ha conosciuto Cosimo, i suoi genitori la mandano in collegio. Solo molti anni dopo, vedova del Duca Tolemaico, ritorna ad Ombrosa e si stabilisce prima nel palazzo del Duca, poi nella vecchia villa dei D’Ondariva. Allora dichiarano finalmente l’amore dell’uno per l’altra, ma poi litigano e Viola se ne va per sempre, anche se in realtà avrebbe voluto vivere con Cosimo e, lontana da Ombrosa, sogna gli alberi di quei posti e Cosimo farsi largo tra le foglie.

Lei è una delle ragioni per cui, una volta salito, Cosimo non è mai più sceso dagli alberi. Questo ce lo suggerisce Biagio («Non so perché, collegavo con lei, o anche con lei, la decisione di mio fratello di restare sugli alberi.»), ma è anche abbastanza evidente dall’atteggiamento che Cosimo ha dopo averla conosciuta (infatti era sempre intorno al giardino dei D’Ondariva, cercandola), poi perché, alla domanda di Viola - Sei un uomo che è vissuto sugli alberi solo per me, per imparare ad amarmi… -, lui risponde - Sì… Sì… - (questa risposta forse è stata anche dettata dalla volontà di fare sua Viola, ma non solo), inoltre perché, quando, nel quinto capitolo, dice a Viola di non esser mai sceso dagli alberi e lei gli risponde male, a Cosimo viene voglia di scendere e farla finita, come se fosse proprio per compiacere lei che continuava la sua avventura.

È raffinata, capricciosa, di sangue e d’animo cattolica, arrogante, dispettosa, vuole essere sempre al centro dell’attenzione, è molto viziata e ha sempre bisogno di far arrabbiare le persone che la circondano e di rendersi preziosa, infine fa impazzire di gioia e di dolore Cosimo.

Il Barone Arminio Piovasco di Rondò

È il padre di Cosimo e Biagio e Barone d’Ombrosa. Portava «la parrucca lunga sulle orecchie alla Luigi XIV, fuori tempo come tante cose sue.» Era un uomo noioso ma non cattivo: noioso perché le sue idee erano superate: infatti, in quell’epoca di trapasso, aspirava al titolo di Duca, e per questo era preso per matto dai nobili dei dintorni e gli Ombrosotti ridevano alle sue velleità. Da quando il suo primogenito si arrampicava sugli alberi temeva che la dignità ducale fosse compromessa, e in un certo senso vi rinuncia. Non si capiva se le notizie che riceveva di Cosimo gli giungessero dolorose o se invece n’era toccato da un fondo di lusinga. Durante gli anni in cui Cosimo visse sugli alberi, il Barone lo vide solo due volte, a cavallo, e la seconda volta, dopo avergli ricordato il suo nome e il titolo, gli diede la sua spada e gli disse addio. Fu grande il dolore per la morte del Cavalier Avvocato, che era l’unica persona di cui si fidava e che trattava come un figlio unico e disgraziato, e in suo ricordo si prese cura delle sue api, anche se aveva un grande terrore di essere punto. E difatti finì per essere punto da uno sciame intero; anche dopo esser guarito stava sempre a letto ed aveva perso ogni attaccamento alla vita. Così cominciò a farneticare, dicendo che i Gesuiti avevano occupato la sua casa, e alla fine morì.

La Generalessa Corradina di Rondò

È la madre di Cosimo e Biagio. Orfana di madre, suo padre, Generale, se la portava dietro al campo; dai Von Kurtewitz eredita l’educazione rigida che trasmette ai figli. Ad Ombrosa passava le giornate facendo pizzi, ricami e filè perché «solo in essi sfogava la sua passione guerriera. Erano pizzi e ricami che rappresentavano di solito mappe geografiche; e stesi su cuscini o drappi d’arazzo, nostra madre li punteggiava di spilli e bandierine, segnando i piani di battaglia delle Guerre di Successione, che conosceva a menadito. Oppure ricamava cannoni, con le varie traiettorie che partivano dalla bocca da fuoco, e le forcelle di tiro, e gli angoli di proiezione […]». In realtà, sotto questi modi militareschi, si nascondeva una mamma molto premurosa e paurosa verso i figli, come ogni madre: «ci avrebbe visto volentieri alla carica sotto le cannonate, ma intanto stava in pena per ogni nostro gioco.» Lei è la prima tra i suoi famigliari ad arrendersi all’idea che Cosimo sarebbe vissuto sugli alberi per tutta la vita, questo da quando lui le risponde ai saluti. Quando la sua asma peggiora e sta tutto il giorno a letto, si fa aiutare soprattutto da Cosimo, come se fosse lì accanto.

Battista

Sorella di Cosimo, dopo il mancato matrimonio con il Marchesino della Mela, è finita «sepolta in casa, con gli abiti da monaca, pur senz’aver pronunciato voti neppure di terziaria, data la sua dubbia vocazione. Il suo animo tristo s’esplicava soprattutto nella cucina.» Infatti era dotata di una straodinaria abilità e inventiva nel preparare piatti meravigliosi alla vista ma decisamente raccapriccianti al gusto. Grazie anche alla buona impressione che s’era fatto il Conte d’Estomac dei Rondò, si fidanza con il Contino e poi si sposano. Nei confronti di Cosimo, Battista nutre «una specie d’invidia, come se, abituata a tener la famiglia col fiato sospeso per le sue stranezze, ora avesse trovato qualcuno che la superava».

Il Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega

È il fratello naturale del Barone Arminio. Una sua descrizione esauriente si ha nel settimo capitolo.

Poco si sa di questo personaggio. Sembra che rivestisse qualche carica importante in Turchia, ma poi lo misero in catene a remare in una galera ottomana presa prigioniera dai Veneziani che lo liberarono. Anche a Venezia combinò qualche cosa, finendo di nuovo in ceppi, ma poi lo riscattò il Barone e lo nominò amministartore. Dalla storia del tradimento di Enea Silvio verso gli Ombrosotti si scopre che ha una moglie o una figlia in Turchia di nome Zaira, e che vorrebbe tornare là ad ogni costo, ma finisce per morire per mano dei Turchi.

Aveva un animo falso e imprevedibile ma con un’indole timida, aveva difficoltà di comunicazione e a volte sembrava addirittura sordomuto, o che non capisse la lingua. Aveva la passione per l’idraulica, l’apicoltura e praticava la rabdomanzia. Ma, mentre poteva dedicarsi all’apicoltura per conto suo, quasi in segreto, senz’aver a che fare con nessuno, per l’idraulica doveva subire i pareri e gli ordini del Barone o di chiunque altro gli commissionava il lavoro: così dopo un po’ che iniziava un lavoro nuovo, «si perdeva, si perdeva, finché ogni proposito non finiva in niente».

Personaggi minori

Gli altri personaggi di importanza minore sono l’Abate Fauchelafleur, il precettore giansenista dei ragazzi, i ladri di frutta, i conti d’Estomac, Ottimo Massimo, il cane di Viola che diventa il migliore amico di Cosimo, Gian dei Brughi, il brigante divoratore di libri, i pirati ottomani, gli Spagnoli che vivono in cima agli alberi (in particolare il Principe Sanchez, Padre Sulpicio, El Conde e Ursula, di cui Cosimo si innamora), i due ufficiali, uno inglese e l’altro napoletano, le truppe Austrosarde e quelle francesi, Napoleone Bonaparte, un drappelo di soldati russi a cavallo seguiti dall’ufficiale, il Principe Andréj, e tutta la gente che Cosimo incontra durante i suoi giri sugli alberi, dai contadini, ai carbonai bergamaschi.

LINGUAGGIO E STILE

Il linguaggio è comprensibile, a parte alcune frasi in francese, tedesco, russo e dialetto bergamasco, che mi hanno dato non poche difficoltà di comprensione. Ci sono anche delle espressioni nel dialetto ligure, dette dai ladri di frutta, come Ciêuve! Ciêuve! L’aiga va pe êuve! oppure Cuiasse! Belinùi!

È da notare che il tono di Cosimo si fa più solenne quando parla con suo padre, dandogli sempre risposte argute, tranne quando, per troncare di netto la conversazione, dice - Ma io dagli alberi piscio più lontano -

Prevale il discorso indiretto, in cui Biagio, il narratore, racconta la vita di Cosimo da quando è salito sugli alberi per la prima volta alla sua morte. Non mancano alcuni suoi commenti, in particolare nel quarto e nell’ultimo capitolo, dove dichiara la sua nostalgia per i tempi andati, mentre ora «si direbbe che gli alberi non hanno retto, dopo che mio fratello se n’è andato, o che gli uomini sono stati presi dalla furia della scure.»

Le descrizioni sono molte particolareggiate, specialmente quelle di paesaggi.

I periodi sono abbastanza lunghi. La struttura sintattica è piuttosto complessa.