Sallustio, Historiae: Guerra di oppressione, guerra di liberazione

Originale

Nunc, quaeso, considera nobis oppressis utrum firmiorem te ad resistundum, an finem belli futurum putes? Scio equidem tibi magnas opes virorum armorum et auri esse; et ea re a nobis ad societatem ab illis ad praedam peteris… An ignoras Romanos, postquam ad occidentem pergentibus finem Oceanus fecit, arma huc convortisse? Neque quicquam a principio nisi raptum habere, domum, coniuges, agros, imperium? Convenus olim sine patria, parentibus, pestem conditos orbis terrarum, quibus non humana ulla neque divina obstant, quin socios, amicos, procul iuxta sitos, inopes potentisque trahant excindant, omniaque non serva et maxume regna hostilia ducant. Namque pauci libertatem, pars magna iustos dominos volunt, nos suspecti sumus aemuli et in tempore vindices affuturi. Tu vero, cui Seleucea, maxuma urbium, regnumque Persidis inclutis divitiis est, quid ab illis nisi dolum in praesens et postea bellum expectas? Romani arma in omnis habent, acerruma in eos, quibus victis spolia maxuma; audendo et fallundo et bella ex bellis serundo magni facti. Per hunc morem extinguent omnia aut occident quod haud difficile est, si tu Mesopotamia, nos Armenia circumgredimur exercitum sine frumento, sine auxiliis, fortuna aut nostris vitiis adhuc incolumem. Teque illa fama sequetur, auxilio profectum magnis regibus latrones gentium oppressisse. Quod uti facias moneo hortorque, neu malis pernicie nostra tuam prolatare quam societate victor fieri.

Traduzione

Ora per favore considera se ritieni che, con la nostra sconfitta, tu sarai più forte per resistere o se si arriverà alla conclusione della guerra. Io so bene che tu hai grandi risorse di soldati, armi e denaro: e proprio per questo desidero la tua alleanza ed essi di farti loro preda. Spetta ai rimanenti decidere, mentre il regno di Tigrane, è intatto e i miei soldati esperti di guerra, di portare a termine la guerra lontano dalla patria per mezzo dei nostri corpi con poca fatica, poiché non possiamo nè vincere nè essere vinti senza il tuo tentativo. Ignori forse che i Romani, arrestati dall’oceano nella loro avanzata verso occidente, hanno rivolto qua le loro armi? Che fin dai primordi nulla possiedono che non sia frutto di rapina, case, mogli, terra e impero? Essi stessi, giunti un tempo da luoghi diversi senza patria e genitori, si sono uniti a danno del genre umano; e per essi nessuna legge umana e divina rappresenta un ostaolo dal depredare e dall’annientare alleati ed amici, popoli vicini e lontani, deboli o potenti: o dal considerare ostili tutti i regni non subordinati a loro? Soltanto pochi, infatti, preferiscono la libertà: i più non cercano che padroni equi, noi siamo loro sospetti come rivali e come possibili vendicatori nel futuro. Tu poi, che possiedi Seleucia, la più importante tra le città, e il regno di Persia dalle famose ricchezze, che puoi aspettarti da loro se non la frode oggi e la guerra domani? I Romani rivolgono le armi contro tutti e in modo particolarmente violento contro coloro che, da vinti, possono offrire maggior quantitativo di bottino; con l’arroganza, l’inganno e ininterrotte guerre si sono ingranditi: in questo modo o distruggeranno tutto o soccomberanno … il che non è impossibile se tu in Mesopotamia ed io in Armenia stringeremo in una morsa il loro esercito che non ha viveri né speranza di soccorso, e si regge finora solo in grazia della fortuna e dei nostri errori. E tu avrai la fama gloriosa di essere accorso in aiuto di possenti re e di avere schiacciato i predoni di tutte le genti. Ti consiglio, dunque, e ti esorto a porre mano a questa impresa e a non preferire alla vittoria in qualità di alleato la dilazione della tua rovina a prezzo della nostra.